1 Aprile 1994
Esotica, moderna Turandot
Il battesimo
discografico di Riccardo Muti con l’Orchestra Filarmonica della Scala è il frutto
di un lavoro di anni, che suggella nel migliore dei modi la crescita costante e
sicura di un complesso capace di suonare non solo bene ma anche con grande
consapevolezza stilistica.
Le prove
maiuscole fornite dall’orchestra sotto la direzione di Muti (e con la sua
preparazione) nei numerosi concerti a Milano e in tournée trovano conferma in
un disco di assoluto rilievo, importante anche per la scelta delle musiche, non
appartenenti al consueto repertorio sinfonico ma degne di attenzione, non
foss’altro perché sfatano la logora leggenda di una arretratezza dei musicisti
italiani nei confronti della cultura strumentale e sinfonica europea.
Si può contestare
che Ferruccio Busoni appartenga complessivamente alla musica italiana, ma non
che le musiche per la Turandot
non nascano dal desiderio di stabilire una continuità tra esperienze diverse, e
abbiano una chiara impronta internazionale. Tanto quanto la Paganiniana op. 65
di Alfredo Casella e i tre pezzi di Giuseppe Martucci – Notturno op. 70 n. 1, Novelletta op. 82,
Giga op. 61 n. 3
– recuperano quel senso di dignità del comporre che è proprio di una cultura
tutt’altro che provinciale o limitata nei suoi interessi e nelle sue
possibilità.
Ed è proprio
questa qualità che Muti sembra voler sottolineare con coraggio e con orgoglio
in quest’impresa discografica destinata, c’è da crederlo, a cogliere
strameritati successi anche se non soprattutto all’estero.
La brillantezza e
la trasparenza con cui l’orchestra rende la partitura di Casella sono miracoli
di equilibrio e di proporzione, ma sembrano avvenire nel modo più naturale e
spontaneo, senza alcun intento dimostrativo. Il peso sonoro degli archi, di una
mirabile varietà e gamma di sfumature, si distribuisce nei quattro movimenti
con dosaggio perfetto, dialogando con i legni e gli ottoni in una gara di
domande e risposte che continuamente tengono desto l’interesse del discorso. Che,
pur non essendo particolarmente profondo, ha una immediatezza e genuinità di
espressioni di impagabile grazia, e dà il senso di un’avventura novecentesca
saldamente ancorata al culto del passato.
I pezzi di
Martucci sono cammei sui quali il tempo sembra aver depositato una leggera
patina di antichità, che li rende anche più preziosi e affascinanti. Muti ne dà
una versione cesellata nei particolari, timbricamente sfaccettata, teneramente
affettuosa ma mai oleografica, recuperando il senso di un intimismo fatto di
abbandoni malinconici e di liriche effusioni. Notevole, da parte
dell’orchestra, la capacità di introspezione del suono, l’omogeneità fra le
sezioni in una ombreggiatura del colore quasi impressionistica, con tendenza a
temperare la vivacità in calma e diffusa atmosfera. Nell’impaginazione del
disco, questo intermezzo tiene il posto di un tempo lento ripiegato su se
stesso.
La Turandot Suite op. 41 di Busoni è uno dei cavalli di
battaglia di Muti, fin dai tempi della sua gioventù. Se ne ricordano numerose
esecuzioni dal vivo, ma nessuna arriva alla luminosità di questa. Muti sembra
aver accentuato il tratto più moderno della scrittura di Busoni, senza perdere
di vista il gioco screziato delle allusioni, la tinta esotica dei materiali e
la nettezza classica dei contorni. Un vertice di virtuosismo e di sensibilità
interpretativa.
Casella, Paganiniana op. 65; Martucci, Notturno op. 70 n. 1, Novelletta op. 82, Giga op. 61 n. 3; Busoni, Turandot Suite op. 41; Orchestra Filarmonica della Scala, dir Muti. Sony 53280 (1 cd).