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6 Aprile 2004

Edvard Grieg – Peer Gynt (musiche di scena op. 23, per soli, coro e orchestra, dal dramma di Henrik Ibsen)

 

Il viaggio di Peer Gynt secondo Ingmar Bergman

intervista di Sergio Sablich

 

Nella sua lunga carriera di regista teatrale, l'oggi ottantaseienne maestro svedese Ingmar Bergman ha affrontato due volte il Peer Gynt di Ibsen. La prima messinscena risale al 1957, quando Bergman dirigeva il Teatro Municipale di Malmò ed era appena reduce dal successo del suo film Il settimo sigillo: ne furono interpreti, oltre al protagonista Max von Sydow - rivelatosi proprio in quel film -, Gunnel Lindblom nella parte di Solvejg e la giovane Ingrid Thulin in quella di Anitra. Bergman è poi ritornato sul Peer Gynt molti anni dopo, nel 1991, in una produzione per la Sala piccola (Lilla Scen) del Teatro Reale, il mitico Dramaten, di Stoccolma: accanto a Bibi Andersson nel ruolo della madre Åse, vi figuravano alcuni attori presenti nel suo ultimo film per il cinema Fanny e Alexander, a cominciare dal protagonista, Börje Ahlstedt. Sulla sua concezione del testo ibseniano, anche in rapporto alle musiche di Grieg, riproduciamo qui di seguito la sintesi di un colloquio intercorso nel 1991 tra il regista e Sergio Sablich.

Nel 1981, mentre si trovava in esilio a Monaco di Baviera e lavorava come regista al Residenztheater di quella città, Bergman venne richiesto dalla Radio Bavarese di approntare una riduzione del Peer Gynt per un'esecuzione radiofonica con le musiche di Grieg. I1 progetto non si realizzò, ma ne sopravvisse uno scenario originale che, da allora mai più adoperato, fa da base alla presente esecuzione, nella traduzione e nell'adattamento di Sergio Sablich. L'autore desiderava che la parte del narratore fosse affidata a una voce recitante femminile, sorta di fusione delle due figure di Solvejg e Åse, incarnazioni femminili dell'inconscio di Peer, e che, a ribadire il senso di ciclicità infinita delle vicende del protagonista, l'esecuzione si aprisse e si chiudesse simmetricamente come in un sogno con la ninna-nanna intonata da Solvejg, sposa e madre al tempo stesso. Inoltre, venivano conservati, anche in assenza di agganci con la musica, parti fondamentali del dramma, come la visione dei luoghi familiari dell'infanzia nel ritorno a casa di Peer, il famoso "monologo della cipolla" e il personaggio del Fonditore di bottoni, simbolo evidente della Morte in agguato. Suddivisa in due parti come si è detto concentriche, la prima si concludeva con la musica della morte di Aase suonata da sola due volte, prima e dopo il racconto favoloso del viaggio in Paradiso di Peer in compagnia della madre. Ne derivava un'amplificazione del testo sproporzionata rispetto alla musica e alla sua durata, forse inadatta a un'esecuzione radiofonica mirata alle pagine di Grieg; e questa fu probabilmente la causa per la quale il progetto venne accantonato.

 

 

Che cosa è cambiato nella sua visione del Peer Gynt a distanza di tanti anni?

 

A Malmö, nel 1957, per noi l'essenziale era presentare il testo così com'era nella sua aura mitica, senza eccessi espressionistici e riferimenti politici all'attualità, ma anche senza avvolgerlo in un romanticismo dolciastro e datato, con cui aveva chiuso fin dall'inizio. Si trattava di guardare Ibsen diritto negli occhi, senza orpelli né estenuazioni: ripulire sia il dramma sia protagonista di tutti gli elementi sentimentali, degli stereotipi poetici e delle concilianti dealizzazioni sedimentate nel corso degli anni, facendolo per di più passo dopo passo davani agli occhi del pubblico. In questo senso la rappresentazione integrale senza tagli costituì ma sfida enorme. L'impulso determinante fu però la possibilità di disporre di un attore come Max von Sydow. Solo una volta ogni dieci-vent'anni un teatro può disporre di un Peer Gynt come lui. Ricordo di aver pensato: dobbiamo mettere in scena il dramma adesso, perché abbiamo Max von Sydow. Nel complesso era una visione molto sperimentale, tesa a rimuovere gradualmente ma con grande determinazione, a mano a mano che il dramma procedeva, i vari elementi decorativi della scena, in una crescente semplificazione e smaterializzazione del palcoscenico. In fondo è stato facile, perché abbiamo seguito Ibsen alla lettera. Oggi le cose sono cambiate, abbiamo avuto molte edizioni importanti del Peer Gynt, la sperimenazione ha fatto il suo corso.Anche il mio Peer di oggi, Börje Ahlstedt, è diverso: più sanguigno ed estroverso, più complice, disposto quasi a condividere con il pubblico il gioco delle sue infantili meraviglie.

 

Per questa produzione [del Dramaten, 1991] Lei ha scelto uno spazio teatrale più intimo, non la sala grande del Dramaten, ma la più piccola, quasi a sottolineare l'aspetto cameristico di un dramma tradizionalmente inteso come un caleidoscopio ribollente di scene ora realistiche ora fantastiche.

 

L'odissea di Peer ha inizio e fine nella capanna degli avi, che è il mistero, l'intimità del teatro. Mi sono chiesto se in realtà Peer esca mai da questo ambiente della sua infanzia, da questo luogo mitico del ricordo, se tutte le sue mirabolanti avventure non siano altro che un sogno, una proiezione delle sue fantasie: forse quel che si sogna nel momento che precede la morte, cullati da una ninna-nanna che si è sentita cantare da piccoli.Tutto il pellegrinaggio, il viaggio spirituale di Peer, è essenzialmente un cammino interiore. Egli vaga da una favola all'altra, da un sogno all'altro, talvolta precipitando nell'incubo: percorrendo terre straniere, è obbligato a opporsi al senso della perdita, alla propria sconfitta, o a ingannare se stesso Solo tornando a casa, risvegliandosi nel suo lettuccio prima di addormentarsi per sempre accucciato in seno a una figura di donna che ha preso il posto di sua madre, ha la consapevolezza di tutta la sua angoscia e della sua profonda disperazione; ha imparato la lezione pie importante e dolorosa: che tu avanzi o tu arretri, la via è ugualmente lunga. Il gioco non s può rifare! II suo viaggio ora è finito, ma che cosa gli ha portato?

 

Nella scena finale, così come Lei la vede, Peer si ritrova di nuovo nella capanna spoglia dell'i nizio, dove Solvejg, cieca, avvolta nello scialle di Åse, attende il suo ritorno. Il potere di redenzione dell'amore e della devozione si esprime in questa identificazione di Solvejg con la madre di Peer in un gesto estremo e tuttavia semplice di pietà materna, la ninna-nanna al suo "diletto bambino" che gli offre consolazione e riposo.

 

La commedia, che è un sogno, termina dove era incominciata, con il ritorno di Peer nell'utero materno.Tutto ciò non ha alcun significato predeterminato, è piuttosto una questione di mmaginazione, di sensazioni.

 

Tutta la sua rappresentazione è ritmata dal ticchettio di un orologio ben visibile sulla scena, scandire il fluire del tempo. Solo alla fine, quando appare il Fonditore di bottoni a reclamare Peer addormentato fra le braccia di Solvejg, l'orologio sn'iette di ticchettare e si ferma: le lancette indicano di nuovo le sette, l'ora esatta in cui la rappresentazione era iniziata. Ciò significa una meta fora della vita e della morte?

 

E' una metafora della magia del teatro, luogo senza tempo e senza spazio, nel quale tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il teatro non ha bisogno di null'altro. La televisione contiene tutto, i film contengono tutto, viene mostrata ogni cosa. Il teatro dovrebbe essere un incontro spirituale e fisico tra esseri umani e nient'altro.Tutto il resto serve solo a creare confusione.

 

Lei articola i cinque atti del dramma in tre parti con relativi sottotitoli, quasi modellate sullo schema di una forma-sonata: esposizione ("Favole e sogni"), sviluppo ("Terre straniere") e ripresa ("Ritorno a casa"). Non vi è però alcuna traccia delle celebri musiche di scena di Grieg, sostituite da frammenti di composizioni di Bohuslav Martinu o da semplici melodie popolari senza accompagnamento. Che cosa pensa delle musiche di Grieg?

 

Sono cresciuto, come tutti quelli della mia generazione, associando il Peer Gynt a queste musiche. Fino alla seconda guerra mondiale era impensabile prescinderne: poi è avvenuta la liberazione. Se non sbaglio, il primo a tentare qualcosa del genere fu l'attore-regista norvegese Hans Jacob Nielsen, che nel 1948 sostituì le musiche di Grieg con la partitura appositamente composta per la sua edizione teatrale [dal compositore norvegese Harald Saeverud, op. 28]. Nel mio primo Peer Gynt a Malmö l'accompagnamento musicale era limitato allo stretto necessario: la canzone di Solvejg veniva cantata da Gunnel [Lindblom] come una semplice aria popolare norvegese. Ricordo che un critico scrisse: "Bergman ha risistemato Ibsen sul trono del poeta e ha chiuso la buca dell'orchestra". La musica di Grieg, occupando questo trono, rimane indissolubilmente legata a una lettura romantica, lirica e sentimentale, folkloristica, che è essa stessa già un'interpretazione consegnata alla tradizione. Come tale è musica da concerto, in sé certo godibile: una musica illustrativa che però non ha più molto a che fare per noi oggi con una rappresentazione teatrale del testo di Ibsen.


Piero Bellugi / Orchestra della Toscana
Fondazione Orchestra Regionale Toscana, Concerto di Pasqua