1 Gennaio 1998
Il mondo sonoro di Celibidache
Ricordo una
lontana intervista a Sergiu Celibidache. Alla domanda di rito perché non
incidesse dischi, rispose con un’immagine eloquente. Il disco è come una
fotografia che fissa un istante della vita. Finché uno vive, non gli verrebbe
in mente di sostituire il contatto diretto con le persone e con la musica
affidandosi al surrogato della fotografia e del disco. La fotografia è il
ricordo. La vita è il momento irripetibile dell’esserci e comunicare,
dell’emozione che in musica si sprigiona durante l’atto vitale del concerto. Come
tale, il disco è un’immagine dell’assenza e della morte. Questa immagine viene
ripresa da Serge Ioan Celebidachi, figlio di “Celi”, per presentare il “lascito
musicale” delle registrazioni effettuate da suo padre nel corso dell’attività
con i Münchner Philharmoniker durata dal 1979 al 1996, l’anno della sua morte,
rigorosamente dal vivo. Tra le 200 opere gelosamente conservate in archivio –
la cui chiave Celibidache si faceva consegnare personalmente dopo ogni
deposizione della reliquia – la Emi Classics, promotrice della fenomenale
iniziativa, mette a disposizione del pubblico il primo box di 10 cd, facendolo
precedere da un doppio cd contenente, oltre a una preziosa intervista di
Günther Specovius col Maestro, due documenti altamente simbolici dell’arte
interpretativa di Celibidache: l’Ouverture-fantasia Romeo e
Giulietta di Čajkovskij e i Quadri di una
esposizione di Musorgskij-Ravel. Si tratta di due registrazioni
rispettivamente del gennaio 1992 e del settembre 1993, appartenenti dunque
all’ultima fase della sua carriera.
Chi abbia ascoltato dal vivo queste interpretazioni, serbandone il ricordo
come una parte incancellabile di sé, si accosterà al confronto con
comprensibile trepidazione. Fin dalle prime battute della Ouverture di Čajkovskij,
non tarderà a riconoscere il suono inimitabile di Celibidache, la sua capacità
somma di dare un significato e una relazione a ogni nota, a ogni dinamica, a
ogni colore, quasi sacralizzandoli. Ma anche per chi non ne abbia fatta
esperienza diretta è come se si spalancasse di colpo un mondo sonoro
affascinante nella sua grandezza e misterioso nella sua profondità, in cui
naufragare e riemergere è insieme dolce e doloroso. La tensione protratta
all’inverosimile nella calibrata dilatazione dei tempi e nella intensa
pronuncia del fraseggio si scioglie in un calmo, naturale espandersi di
vibrazioni e di respiro: essi non sono più solo musica ma eco di una
trasfigurazione, epifania mistica e razionale dello spirito. Ancor più nei Quadri di una esposizione, con la massima evidenza frutto
del periodo di assoluta confidenza con l’orchestra, la sbalorditiva precisione
analitica è rivolta a cogliere non soltanto la varietà del racconto – perfino
con cordialità e ironia – ma anche il senso più profondo della composizione
originale e della sua orchestrazione: fuse nella perfezione di proporzioni e
misure prima indicate e poi realizzate. Tutto si può dire di Celibidache; ma
non che non sapesse mettere l’ascoltatore a parte delle sue intenzioni e
guidarlo verso un’ascesa.
Con giusto
rilievo viene sottolineato che questa è la prima edizione autorizzata delle
registrazioni di Celibidache (meritorio lo scopo: sostenere una fondazione a
lui intitolata per aiutare non solo i giovani musicisti ma impegnarsi anche in
iniziative umanitarie). Per molti anni le sue registrazioni sono circolate in
edizioni “pirata” e di fortuna, tecnicamente assai scadenti: e fra queste molte
provenivano dal periodo, mai abbastanza rimpianto, in cui Celibidache diresse
le orchestre della Rai.
Prima di chiudere
definitivamente i battenti, la Fonit Cetra si congeda realizzando una piccola
edizione dedicata a Celibidache nella quale sono riproposti, finalmente nella
veste tecnica originale ripulita e tutt’altro che disprezzabile, alcuni degli
esiti migliori di questa collaborazione: le quattro Sinfonie di Brahms (Milano,
1959), la Quinta e l’Incompiuta
di Schubert (Torino, 1970) e le prime due Sinfonie di Schumann (Roma, 1969). Anche
se il paragone con l’epoca monacense è improponibile, si tratta di esecuzioni
rimarchevoli, degnissime per i nostri colori, esemplari in tutto e per tutto
della poetica e della concezione musicale di Celibidache. La vetta ci pare
essere la Seconda di Schumann, limpida e cantante in
una sorta di gioiosa ebbrezza sonora. Ma ascoltate con attenzione, nel primo
box, le Variazioni su un tema di Haydn di Brahms con
l’Orchestra “Alessandro Scarlatti” di Napoli, anno 1971, e chiedetevi pure per
quale maledizione il nostro disgraziato Paese abbia sperperato cogli anni
tesori di tale dignità e bellezza.
Celibidache-Münchner
Philharmoniker: ˇCajkovskij,
Musorgskij-Ravel. Emi 5565162
(2 cd). Sergiu Celibidache alla Rai, vol. 1 (Brahms), vol. 2 (Schubert,
Schumann):
Fonit Cetra vol. 1 CDO 12 (3 cd), vol. 2 CDO 124 (2 cd).