1 Novembre 1991
Rapimento
Die Entführung aus dem Serail è l’opera che inizia una fase nuova nella carriera teatrale di Mozart. Nessuna
opera, né precedente né successiva, offre una tale profusione di musica allo
stato puro, di canto, di invenzione timbrica. Si suol dire che solo realizzando
la fusione dei generi Mozart sviluppasse un senso drammatico pieno attraverso
l’orchestra, la gradazione dei caratteri e la continuità dell’azione: ma è
esprimendosi nella propria lingua, sfruttando l’alternanza di parti parlate e
cantate propria del Singspiel, che individuò non
solo le radici di una fantastica forma di teatro ma anche la sua vera natura di
compositore drammatico. Ciò che colpisce nella Entführung,
e poi nella Zauberflöte, è la decisa affermazione di
valori morali, umani; cui la musica partecipa con una carica di commozione
semplice e diretta: qualcosa di diametralmente opposto al programmatico
disincanto e al realismo amaro delle opere italiane. Sembra quasi che Mozart
adotti un linguaggio del cuore e della mente diverso nelle forme del teatro
tedesco e italiano: come se quei mondi fossero anche spiritualmente, eticamente
diversi. La sua visione non è però ideologica e tanto meno manichea, bensì
aperta a riconoscere che il vero senso etico sta dietro le apparenze dei comportamenti
e degli atteggiamenti. Per questo egli fu, dietro le apparenze, un artista
profondamente morale. Il ribaltamento delle apparenze è la tecnica, di forte
efficacia anche teatrale, che Mozart usa per affermare questi valori: nella Entführung il pascià Selim concede spontaneamente e
inaspettatamente la libertà a Constanze dopo aver sperimentato che niente vale
a piegare la forza dell’amore. Che un turco ostile e minaccioso potesse
dimostrare quella nobiltà d’animo e quella moderazione che l’uomo civile
europeo sembrava già allora aver perdute poteva suonare come una stravaganza
esotica: per Mozart era il segno di una verità e di una giustizia depositate
nel fondo eterno delle cose. Il Vaudeville con cui si chiude l’opera è più di
un elettrizzante lieto fine, è la ricomposizione di quell’ordine interno ed
esterno che dà all’uomo e al mondo, oltre la finzione del teatro, serenità,
quiete e armonia. C’è però un fatto da ricordare. All’illuminato Selim manca il
dono del canto: colui parla soltanto. Nel suo serraglio non esistono melodie:
ed è il rapimento della musica, che lo ferisce al cuore, a vincerlo alla fine.