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1 Maggio 2002

Ambizioni di Thielemann

 

Erede della tradizione tedesca, non conosce la modestia e punta in alto.

Ha una specifica caratura tecnica che lo mette in grado di dominare totalmente l’orchestra. Un difetto? Volersi mostrare fenomeno di bravura

 

Ma che bella carriera sta facendo Christian  Thielemann! Non che ci fosse da dubitarne, conoscendone il talento, le doti, l’ambizione. Fu proprio l’Italia a dargli per prima fiducia, quando era un giovane e oscuro Kapellmeister a Norimberga. Torino, Firenze, Roma e Bologna sono state le tappe di un’affermazione perentoria, che a Thielemann ha fatto gioco, anche se i suoi progetti guardavano altrove: a Berlino, sua città natale, dove è ormai da qualche anno Generalmusikdirektor della Deutsche Staatsoper, e agli Stati Uniti, da quando è entrato a far parte dei nomi di punta della più importante agenzia americana e mondiale. Così Thielemann è diventato una star, regolarmente ospite delle maggiori orchestre del mondo, Berliner e Wiener Philharmoniker inclusi, nonché fiore all’occhiello del Festival di Bayreuth, dove ha già diretto Lohengrin, Maestri cantori e Parsifal, farà quest’anno Tannhäuser e si è aggiudicato la nuova produzione del Ring del 2006.

Insomma, a poco più di quarant’anni Thielemann sembra già aver raggiunto tutti i traguardi che un direttore d’orchestra si può augurare: per lui il massimo, naturalmente. Non sorprende dunque che anche l’attività discografica, promossa dal prestigio dell’etichetta gialla della Deutsche Grammophon, che se l’è assicurato in esclusiva, sia in continua espansione. Insuperata, e di sicuro riferimento, rimane però l’incisione che ha segnato il debutto di Thielemann con i Wiener Philharmoniker, in un concerto dal vivo con Eine Alpensymphonie e Rosenkavalier-Suite di Richard Strauss: vuoi per la riuscita dell’avvenimento (in quell’occasione i superlativi si sprecarono), vuoi per l’importanza delle opere eseguite.

A Strauss, come a Wagner, Thielemann si sente chiamato per vocazione, non facendo mistero di considerarli le vette della creazione musicale, della cui tradizione, anzitutto tedesca, a sua volta egli si ritiene l’erede. Thielemann possiede una naturale propensione per l’ampio respiro sinfonico, per quel senso di grandezza che di questi autori è peculiare: le grandi arcate, le solenni aperture e le smisurate distensioni gli sono familiari per predisposizione innata non meno delle culminazioni liriche e drammatiche. A ciò va aggiunta la specifica caratura tecnica, che non gli fa certo difetto e che lo mette in grado di dominare l’orchestra in ogni dettaglio, ad essa imponendo con la forza della personalità una presenza carismatica. Lo si capisce dal modo in cui governa i Wiener nella Alpensymphonie, costringendoli a una cavata di suono che esalta le qualità individuali del complesso, ma al tempo stesso li incita a superarsi, a trovare un peso e un’ampiezza di gesto ancora superiori, quasi dimostrativi.

E qui sta, a voler trovare il pelo nell’uovo, l’attuale limite del nostro musicista: nell’essere ancora troppo incline a dimostrare quanto sia bravo egli stesso, e nel voler dare alla sua stessa prestazione l’impronta del fenomeno. Con macchine di questo tipo a disposizione, un giovane pilota può talvolta perdere di vista il fine del suo fare musica, e strapazzare il mezzo per far vedere fin dove arriva la sua abilità. E su questo piano Thielemann è davvero un fenomeno.

Nella Suite del Rosenkavalier Thielemann mette in mostra altri aspetti della sua natura: l’eleganza, la sapiente individuazione dell’articolazione, il dominio assoluto del ritmo (che è e rimane la guida del discorso musicale), la sottigliezza nel predisporre e realizzare i piani sonori (anche qui con appena una punta di eccesso nei contrasti), la nitida visione formale ed espressiva. All’opulenza sonora della Alpensymphonie fa riscontro un suono più pungente e differenziato, cui non è estraneo anche un tratto ironico e smaliziato, quasi volgare, molto appropriato. Si misura così anche la statura dell’interprete, nel grande come nel piccolo formato capace di riuscire penetrante e convincente.

Da questo punto di vista Thielemann sembra veramente aver ereditato una consanguineità profonda con questo repertorio, cui non sembra esagerato pronosticare altissimi esiti futuri. A patto che egli non attribuisca a se stesso, come custode di una certa tradizione, imperativi categorici che si risolvano in un impegno dimostrativo, e non sviluppino invece le premesse di un fortunato, oggi raro esempio di connubio fra talento naturale, sintonia di mondi, rigore di scavo e capacità realizzativa.

 

Strauss, Eine Alpensymphonie, Rosenkavalier-Suite; Wiener Philharmoniker,
dir Thielemann.
Deutsche Grammophon 4695192 (1cd)