1 Aprile 1992
Le verità di Pelléas e Mélisande
Dell’opera di
Debussy Abbado recupera una fondamentale dimensione lirica e poetica, non
rinunciando a sottolineare
la sua unicità nel teatro del Novecento, e riconsegnandola intatta alla
passione e alla commozione
A una
delle prime letture d’orchestra del Pelléas et Mélisande
che Claudio Abbado stava preparando all’Opera di Vienna, due anni e mezzo circa
fa, i Wiener Philharmoniker, che non suonavano da tempo immemorabile questa
partitura, risposero quasi con sufficienza alle sollecitazioni del direttore,
sembrando perfino poco convinti della sua scelta. Si parlò allora, e i giornali
viennesi ne dettero ampia notizia, addirittura di una “protesta” dell’orchestra
contro il gran numero di prove programmate da Abbado per un’opera “minore”, per
di più francese. Il contrasto fu poi smentito, ma solo quando il Pelléas andò in scena ed ebbe un successo a dir poco
clamoroso: come se davvero i viennesi avessero scoperto solo allora la
grandezza di Debussy. La produzione era quella che Abbado stesso aveva
realizzato nel suo ultimo anno di permanenza alla Scala, con la regia di
Antoine Vitez.
L’affinamento conseguito nel corso delle recite è la premessa del risultato
eccezionale di questa incisione discografica. Che mantiene tutta la freschezza
e l’emozione di quelle esecuzioni dal vivo, giunte da ultimo a una perfezione
già da disco, e le decanta ulteriormente per mezzo di una tecnica di
registrazione capace di fissare le più delicate sfumature di suono, le più impercettibili
gradazioni dinamiche ed espressive, mantenendo viva la tenuta generale della
personalissima interpretazione di Abbado. Di natura fortemente drammatica ma
governata con una chiarezza sbalorditiva: stile e clima tutt’altro che adagiati
sulla superficie consueta di una magia timbrica vagamente impressionista.
Abbado sa come cogliere in quest’opera il filo che lega il mistero dei
sentimenti non detti all’evidenza dei fatti che li racchiudono. Se Boulez aveva
astratto freddamente la modernità linguistica del Pelléas,
quasi disinteressandosi del destino dei personaggi, Abbado recupera una
fondamentale dimensione lirica e poetica, non rinunciando a sottolineare la sua
unicità nel teatro del Novecento, ma riconsegnandola anche intatta alla
passione e alla commozione di una musica dell’anima. E riesce così a costruire
una visione nitida che ci porta quasi a penetrare il senso della parola chiave
dell’opera: la verità, su cui tutti i personaggi si interrogano e che sembra
sfuggire a ogni definizione. Qui la verità non è nelle risposte, bensì nelle
domande stesse: nella profondità di significati e di sentimenti traducibili
solo nella tensione del canto e della musica, nei momenti culminanti dello
slancio appassionato come in quelli ad essi sottesi del ripiegamento interiore.
Basta ascoltare l’interludio del quarto atto per capire gli uni, l’ultima scena
per trasfigurarsi nell’infinita tristezza degli altri. Il disco esalta e rende
omogenee ai più alti livelli le qualità della compagnia di canto,
riequilibrando alcune disuguaglianze tra le voci che erano percepibili in
teatro.
Quanto ai Wiener,
suonano con un calore, una proprietà e una bellezza di suono impressionanti:
credendoci fino in fondo.
Debussy, Pelléas et Mélisande; Ewing, Le
Roux, van Dam, Courtis, Ludwig, Pace,
Wiener Philharmoniker, dir Abbado, DGG 435 344-2 (2 cd).