1 Maggio 1991
Muti e Brahms: fine di un viaggio tra le radiose forme della Sinfonia
Con la
pubblicazione della Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
(abbinata alle luminose Variazioni su un tema di Haydn op.
56a) si conclude il ciclo brahmsiano che Riccardo Muti ha realizzato con
la Philadelphia Orchestra. Dopo Beethoven, Schubert e Schumann, un altro dei
massimi autori dell’Ottocento sinfonico viene così ad arricchire il repertorio
discografico del nostro direttore.
Muti vi giunge in
un momento di felice maturità artistica. L’autorevolezza con cui affronta la
più delicata fra le partiture sinfoniche di Brahms (delicata anzitutto per la
sua collocazione storica in rapporto ai precedenti di tal genere, e per i
problemi stilistici che ne conseguono) è la prova di uno studio tenace e
scrupoloso, ma anche di una chiarezza di idee che s’impone tanto nella visione
d’insieme quanto nella realizzazione dei singoli dettagli. Le premesse sono
nella scelta dei tempi, equilibrati fra loro in modo da porre in rilievo le
relazioni più che gli stacchi di una scrittura sovente in apparenza dispersiva
e irregolare, e la fedeltà al testo: nel rispetto non solo di tutti i
ritornelli (che danno coesione alla forma) ma anche delle indicazioni agogiche
e dinamiche (un solo esempio su cui richiamare l’attenzione: la “messa di voce”
che ricorre spesso nei passi solistici dei fiati, eseguita da Muti con
morbidezza speciale e sensibilissima ai valori del canto).
La Prima con Muti dura esattamente 48 minuti e 35 secondi. Se
si considera che vengono eseguiti i ritornelli, ciò significa un passo spedito
e tendenzialmente rapido. La chiave di lettura è nella interpretazione del
termine “sostenuto”, che ricorre nella introduzione e nella coda del primo
movimento (“Un poco sostenuto”) e nel secondo movimento (“Andante sostenuto”);
ma anche il tempo che rimpiazza lo Scherzo (“Un poco Allegretto e grazioso”) e
la vasta introduzione lenta al Finale sono resi da Muti in modo più “sostenuto”
del consueto, senza indugi e insistite sospensioni. Ne risulta
un’interpretazione lontana sia dalle piacevolezze e svenevolezze viennesi,
inclini a sottolineare il lato decadente o comunque tardo ottocentesco del
linguaggio di Brahms, sia dalla robustezza e dalla spigolosità di matrice
nordica, tramandata dalla scuola tedesca. Per Muti la Prima
Sinfonia non nasce dalle brume autunnali di un crepuscolo del mondo e
dal rimpianto per la forma perduta ma dalla consapevolezza radiosa, per quanto
tinteggiata di ombre, di una conquista non solo del vero rango della Sinfonia
ma anche di uno stile finalmente e fortemente individuato nel campo delle
grandi forme. E dunque non è neppure guardata in funzione di ciò che apre al
futuro, né analizzata freddamente per astrarne gli spunti progressisti. La
differenziazione dello stile è premessa per giungere alla identificazione di
uno stile personale. Nel Brahms di Muti è preminente l’attenzione per la forma
in senso classico; ma non mancano momenti di autentica drammaticità, sbalzati
con una nettezza di stampo quasi teatrale. Cadono di conseguenza gli stereotipi
sul peso avuto da Beethoven nella lunga attesa di uno sblocco che permettesse
di affrontare il genere della Sinfonia (Muti non dilata neppure il famoso
passaggio del corno che prelude alla citazione beethoveniana dell’ultimo tempo
e dà invece forte rilievo al corale dei tromboni), e si acuisce invece la
presenza di Schumann, non solo in senso temporale, nella densità dell’intreccio
delle voci e nella novità delle invenzioni e combinazioni strumentali. Sono,
questi, solo alcuni dei motivi che rendono prezioso l’ascolto del disco come
mezzo di riflessione e di comprensione dello stile di un autore, restituito
alle sue esatte dimensioni.
Brahms, Sinfonia n. 1 op. 68; Variazioni
su un tema di Haydn op. 56a; Philadelphia Orchestra, dir Muti, Philips
4262992 (1 cd).