1 Giugno 1996
L’utopia di Don Giovanni
La figura di Don
Giovanni ha ispirato interpretazioni sempre nuove presso molte generazioni di
artisti. In quella dell’autore ceco Karel Beneš (1896-1969) essa assume tratti
dichiaratamente moderni se non nuovi, tipici di una temperie culturale e
letteraria novecentesca. Don Giovanni vi è visto alla luce della psicoanalisi,
in una sorta di monodramma allucinato nel quale i personaggi secondari dell’azione
sono tutti proiezioni del protagonista, ossia strumenti di tortura dei suoi
complessi. Don Giovanni anela al dissolvimento, e nella attesa della morte
contempla la felicità eterna: la sua condanna sarà dunque non la morte, ma la
vita eterna, l’eterna pena del ricordare e del rivivere.
Su questo
trattamento del soggetto di Don Giovanni (riflessioni su un soggetto più che
vera e propria rappresentazione pensata per il teatro) il compositore Erwin
Schulhoff (1894-1942) concepì un’opera di carattere molto particolare, a metà
strada fra la “sinfonia drammatica” e la tragicommedia, lavorandovi tra la fine
degli anni Venti e il principio del decennio successivo.
Flammen (Fiamme),
l’opera in due atti e dieci quadri di cui stiamo parlando, vede ora la luce in
una incisione discografica molto pregevole, compresa dalla Decca nell’ambito
del ciclo dedicato alla cosiddetta “musica degenerata”, ossia a quei
compositori che, non solo in quanto ebrei, furono messi al bando dopo la presa
del potere dei nazionalsocialisti in Germania. Proprio Schulhoff, di questo
ciclo, è forse l’autentica riscoperta, in campo prima sinfonico e cameristico e
poi anche teatrale: a dimostrazione che anche nel repertorio novecentesco
esistono ancora scommesse da onorare. La concezione drammatica di Schulhoff si
distacca nettamente dal tipo d’opera a numeri chiusi e rimanda semmai al tardo
romanticismo e all’espressionismo non solo per la scrittura ma anche per una
certa sovrabbondanza di simboli e di richiami alla fusione di suoni, luci e
colori, da questo punto di vista al titolo scelto per questa rivisitazione del
mito di Don Giovanni – Flammen – allude, oltre che
all’impulso erotico e all’anelito alla luce, anche alle fiamme purificatrici
dell’inferno. Che sono, appunto, l’estrema utopia di Don Giovanni (le ultime
parole del libretto, dette da un personaggio che incarna la Morte, sono
inequivocabili: «Tanto vicina è la stella, annegata nella notte. Quel che ci
recherebbe la salvezza, è ancora così lontano»); ma costituiscono, queste parole,
anche l’utopia dell’autore, lacerato tra il ripensamento del passato musicale e
la volontà di guardare al futuro imprimendovi la propria impronta. E se nel
modo di rimettere in discussione una intera drammaturgia Schulhoff sottolinea
chiaramente la passione per i vicoli ciechi, quasi compiacendosi di sbattere la
testa contro il muro, nella sua adesione ai linguaggi della modernità, spinta
fino al jazz, egli sembra voler realizzare una nuova visione della musica,
tanto ironica e disincantata quanto mossa da una violenta ansia di liberazione.
E proprio in questa impossibile sintesi di stili diversi sta l’aspetto più
accattivante dell’opera: nell’essere cioè tragedia e commedia insieme,
illusione e realtà, magia e demistificazione, riflessione e proposta. Da
ascoltare più per quello che evoca che non per quello che concretamente fissa.
Una delle
difficoltà di queste operazioni di recupero consiste spesso nella qualità della
esecuzione, cui è raro veder partecipare artisti di prima grandezza. In questo
caso l’esecuzione è eccellente non solo per la presenza di cantanti famosi ma
anche per la direzione assai convinta e convincente di John Mauceri, capace di
mettere in luce per così dire criticamente la brillante varietà della
partitura; ossia di trattarla con lucidità intellettuale pari a calore
espressivo.
Schulhoff, Flammen;
Westi, Eagle, Vermillion, Prein, Wolf, Rias-Kammerchor Berlin
e Deutsches Symphonie-Orchester Berlin dir Mauceri. Decca 444 630-2 (2
cd)