1 Aprile 1991
Ricostruzione teatrale della realtà
La formazione di
Prokof’ev avvenne intrecciando i contatti con le forze più vive della cultura
russa dell’inizio del secolo, che subito lo elessero a suo protetto, con severi
studi accademici, di composizione, pianoforte e direzione d’orchestra al
Conservatorio di Pietroburgo. «Mi volevano insegnare delle regole, mentre io
sognavo di comporre delle opere»: nonostante queste riserve, Prokof’ev non
rinnegò mai l’importanza della tecnica nel bagaglio professionale del
musicista. Divenne anzitutto un formidabile pianista, le cui risorse seppe
mettere a profitto anche come creatore, affrontando senza inibizioni i generi
antichi della Sonata e del Concerto, ma liberandosi anche nelle forme più
libere dei pezzi di carattere, dove la vena popolare s’ingrossava nella piena
di travolgenti invenzioni strumentali tra il visionario e il descrittivo. Nell’atteggiamento
onnivoro del giovane Prokof’ev non c’era contrasto, se non per fini artistici,
fra tradizione e modernità, fra indirizzo filo-occidentale e fedeltà alle
radici della propria terra. Neppure in seguito, quando gli eventi della storia
lo avrebbero posto di fronte a situazioni difficili, Prokof’ev avrebbe fatto
dell’ideologia una ragione discriminante nelle scelte artistiche. Se fu anche
un artista di avanguardia, lo fu perché quella posizione coincideva con ciò che
in quel momento aveva da dire, per convinzione e per testimoniare la sua
presenza.
Semmai, quella
affermazione indica che preminente in lui era l’interesse per il teatro. C’è un
che di teatrale, di drammaticamente esibito e movimentato, in tutta la sua
produzione, non solo nelle opere propriamente dette. Ma è qui che la vocazione
a mettere in scena il proprio mondo e a interpretarne le risonanze si realizza
nel modo più completo. Già nel balletto Il buffone,
scritto per Djagilev negli anni ruggenti delle avanguardie, Prokof’ev mostra
una magistrale capacità di risolvere in gesto teatralmente efficace
l’eclettismo del suo stile. Tre sono gli elementi fondamentali che agitati nel
caleidoscopio del gusto concorrono a definirne la fisionomia: l’incisività dei
ritmi, asse portante del movimento sonoro e scheletro dell’organismo musicale,
l’ampiezza dell’armonia, che emancipandosi dalle leggi della consonanza intesa
in senso non solo tecnico dà sostanza ai contenuti musicali, e la varietà
timbrica che, con i suoi contrasti e le sue trasformazioni, riveste e rende
visibili all’esterno le tensioni di una inesauribile forza vitale.
Tutto il teatro
di Prokof’ev è una reinvenzione della realtà che accentua tratti estremi della
vita o li trasporta sul piano del gioco, della caricatura e dell’ironia, per
sottolinearne l’irrealtà e la finzione. Solo che questa finzione è per lui più
vera della realtà e definisce un universo delle passioni e delle idee
proiettato in una sfera capricciosamente ideale, cui la musica deve dare
concretezza. Benché Prokof’ev usi le figure più avanzate e più raffinate del
linguaggio del suo tempo, l’atteggiamento di fronte al teatro è profondamente
influenzato da una totale fiducia nei mezzi espressivi tradizionali, che fanno
la realtà stessa del teatro nel versante della costruzione drammatica di una
storia attraverso personaggi e situazioni e in quello della caricatura del
dramma per mezzo della riflessione ironica. Di qui l’evidente predilezione per
situazioni eccentriche, nelle quali la fantasia e la capacità di definizione
della musica trionfassero di per se stesse, toccando le corde più diverse e
complementari.
Se questa fu per
Prokof’ev l’essenza trasfiguratrice della musica, egli seppe adattarla alle
diverse funzioni in cui a seconda dei casi doveva servire per riuscire
adeguata. Ogni genere richiedeva nuove regole, ma non poteva rescindere dalla
storia, che rappresentava la continuità con il passato e il mezzo per
comprendere il presente. Nella sua vastissima produzione Prokof’ev non vide mai
fratture o separazioni nette: ciò che noi definiamo eclettismo è in realtà uno
stile, personale e fra l’altro riconoscibilissimo. Per questo non ha molto
senso suddividere in filoni (la linea classica, quella russa, quella moderna,
quella motoria, quella lirica e via dicendo) i cospicui frutti di una
creatività che rimaneva alla base sempre la stessa e il cui scopo era imprimere
un impulso vitale, di segno positivo e concreto, alle raffigurazioni della
musica. La consapevolezza formale e la ricchezza dell’invenzione erano tali che
Prokof’ev poteva creare indistintamente e contemporaneamente per ogni
occasione, si trattasse di imitare i classici, come nella Sinfonia
classica, o di fornire la colonna sonora per i film di Eisenstein,
immedesimandosi nel loro linguaggio.