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1 Settembre 1993

Attualità discografica

 

Musica sinfonica e strumentale


SCHUBERT

Sinfonia n.9 in do maggiore D 944

Wiener Symphoniker, direttore Clemens Krauss

(registrazione: 2 marzo 1951)

ENESCU

Rapsodia romena n.l in la maggiore op. 11

Wiener Philharmoniker, direttore Clemens Krauss (registrazione: 18 agosto 1950) Teldec "Historic" 9031-76438-2

 

Noto e apprezzato soprattutto come direttore d'opera, interprete sommo di Wagner e Richard Strauss, col quale collaborò intensamente anche in veste di librettista per Capriccio, Clemens Krauss non ha lasciato molte testimonianze della sua arte in campo sinfonico, se si eccettuano le registrazioni sui generis dei concerti di Capodanno viennesi, e di quel repertorio leggero che fu un'altra delle sue specialità. Come tutte le autentiche nature tragiche, Krauss amava le spensieratezze dei valzer e delle polke, che poi con lui troppo spensierate non erano mai, nonostante la grazia a l'eleganza che gli provenivano direttamente dalla tradizione del genere assorbita alla fonte. La viennesità di Krauss non era solo un dato anagrafico ma l'essenza stessa di una civiltà insieme orgogliosa dei propri privilegi o aperta sul mondo, provinciale e cosmopolita: in questo senso l'iniziale del suo cognome poteva stare anche come simbolo del regno kakanico, immaginario e realistico al massimo, di Musil.

Ascoltando questa registrazione della Grande di Schubert si è come proiettati nell'atmosfera di un'allegra apocalisse, dove la forza energetica del ritmo sottintende movenze macabre e il vortice si perde nel nulla infinito, le melodie stesse essendo ombre di un canto illusorio, meravigliosamente sospeso sull'abisso. Il bello è che in questa visione della partitura non vi è proprio niente di dimostrativo, di sovraccaricato: e come se Krauss ne identificasse dal suo punto di vista un dato di fatto, e la musica di Schubert si calasse nel suo ambiente naturale, o almeno sembrasse aderirvi con simbiosi perfetta, annunciata e annunciantesi al tempo stesso. Nessuno potrebbe imitarlo, giacchè non della trasposizione di un'idea interpretativa si tratta, bensì di un'intima connessione di natura e cultura: civiltà prima della civilizzazione, indole, inclinazione dell'animo invece che pensiero astratto.

Con la Rapsodia romena di George Enescu siamo invece gia in piena civilizzazione, che maschera con l'artificio artigianale la dichiarata perdita dei valori. Un guizzo che simula l'ebbrezza di ritmi o tempi incapaci di costituire un mondo alternativo, sano e costruttivo secondo utopia, e chiede a Vienna ormai lontana nel cuore di riprendere la tutela, per fingere un'appartenenza che non esiste più, se non nella grande illusione della musica, tra ritmi sfrenati di danze che furono: complice un grande direttore, dolcissimo dietro la sua scorza salvifica di ironia.



Musica Viva, n. 9 – anno XVII