1 Ottobre 1992
Attualità discografica
Rachmaninov - Concerto n. 2 in do
maggiore op. 18 per pianoforte e orchestra; Concerto n. 3 in re minore op. 30
per pianoforte e orchestra.
Yefim Bronfman,
pianoforte; The Philharmonia, direttore Esa-Pekka Salonen
(registrazione:
Abbey Road Studios, Londra, 10/1990; pubblicazione: 1992)
Sony SK 47 183
Bronfman e Salonen
sono nati nello stesso anno, il 1958. Appartengono dunque a una generazione per
la quale i Concerti di Rachmaninov
sono pezzi di repertorio al pari di tanti altri, musica del Novecento con
radici ancora ottocentesche, da affrontare senza memorie storiche dirette e
soprattutto senza condizionamenti di natura extramusicale. E si capisce che
avanguardia e tradizione, virtuosismo e sentimentalismo, estetismo e rinnovamento
sono concetti che per loro non hanno più alcun significato pregresso a cospetto
della pagina scritta. E qui sta l'interesse di questa esecuzione: nel
constatare con quale freschezza di idee e di atteggiamenti interpretativi due
giovani artisti di indubbio talento, spinti però come sembra più dalla
riflessione che dall'istinto, affrontino due monumenti di tal fatta dopo la
caduta delle impalcature, protettive o celebrative, erette a contenerli.
Suonati da
Bronfman, i due Concerti di
Rachmaninov sembrano quasi pezzi facili, nel senso che non si ha mai
l'impressione che al pianista sia richiesta dal punto di vista tecnico una
prestazione eccezionale. Tutto scorre con limpidezza, nei grovigli di note circolano
aria e luminosità, il suono è nitido e cordiale. A questa misura si uniforma la
direzione di Salonen, parca nei rubati e nelle dinamiche, attenta a non
superare mai la soglia del bel suono pulito e corretto: adamantina e casta.
L'intesa è assicurata dalla volontà di non andare mai sopra le righe, semmai
invece di mettere ordine e stabilire gerarchie fra ciò che alle righe sta
sotto.
Rachmaninov ne esce
molto nobilitato, molto depurato, rinfrescato e levigato. La forma riacquista
una sua chiarezza quasi classica, i momenti più funambolici sono giochi da
bravi ragazzi, non bisognosi di strafare. Tutto è così come è scritto, la
partitura sta lì a dimostrarlo. Una tecnica di registrazione davvero
stupefacente non fa perdere una sola nota, un solo dettaglio. Avevamo sempre
pensato che questa musica valesse soprattutto per le associazioni che sapeva
creare, per i richiami che evocava, per le sfide al buono e al cattivo gusto insite
nei suoi ritmi incalzanti, nelle sue melodie accattivanti, nelle sue armonie
variopinte, nei suoi timbri seducenti. E un po' ci vergognavamo di trovare
Rachmaninov così attraente, così scandalosamente piacevole. Scandalo e vergogna
non esistono più, ma ciò che abbiamo perduto con la scomparsa dei sensi di
colpa - il brivido di inconfessabili emozioni - fatica a essere compensato da
visioni saldamente obiettive e razionali come questa. Da cui Rachmaninov esce
come uno fra tanti altri, portato via dalla stessa ventata di aria fresca che
Bronfman e Salonen, spiriti cristallini, hanno vorticosamente provocato.
Musica Viva, n. 10 – anno XVI