1 Giugno 1992
Attualita discografica
Brahms - Variazioni su un tema di
Haydn op. 56a; Nenia op. 82; Sinfonia n. 4 op. 98.
Berliner
Philharmoniker, Rundfunkchor Berlin, direttore Claudio Abbado
(registrazione: Berlino, Philharmonie,
11/1990, opp. 56a, 82; Schauspielhaus, 9/1991, op. 98; pubblicazione 1992)
Deutsche Grammophon 435 349-2
Brahms - Concerto n. 2 per
pianoforte e orchestra op. 83
Alfred Brendel, pianoforte; Berliner
Philharmoniker, direttore Claudio Abbado
(registrazione: Berlino, Schauspielhaus,
9/1991; pubblicazione: 1992)
Philips 432 975-2
Si conclude con questi due dischi usciti
separatamente sotto etichette gemelle l'integrale delle Sinfonie, dei brani sinfonico-corali (eccettuato il Requiem tedesco, di prossima
registrazione) e dei Concerti per
pianoforte e orchestra diretti da Claudio Abbado con i Berliner
Philharmoniker e con la partecipazione di Alfred Brendel. Il risultato è
apprezzabilissimo, ancor più del ricordo che avevamo del Secondo Concerto e della Quarta
Sinfonia nelle esecuzioni dello scorso agosto a Salisburgo. Soprattutto nel
Concerto sono spariti certi
abbassamenti di tensione riscontrabili nello sviluppo del primo movimento e
nell'Andante (la stessa uscita del violoncello solista, Georg Faust, e il suo
dialogo col pianoforte sono più coesi); mentre sono rimaste intatte la
scattante incisività dello Scherzo e la mirabile progressione dell'ultimo
tempo, vero punto nodale di questa interpretazione. Che tende ad essere in
equilibrio tra un'accentuazione del dramma risolutamente imposta da Abbado e
una predilezione per il racconto suggerita invece da Brendel con indugi
espressivi, a volte insistiti e un tantino esibiti.
Chiaramente termini come dramma e racconto
vanno intesi in senso puramente musicale e non hanno nulla a che fare con
intenti programmatici: significano che Abbado stringe le fila del discorso
mettendone in rilievo le relazioni e le trasformazioni, laddove Brendel, quasi
improvvisando, dà spessore a immagini che si stagliano come valori autonomi,
momenti culminanti in cui viene per così dire riassunto tutto il percorso del Concerto; ed è un percorso meno lineare
e teso di quello di Abbado. C'è però anche l'altra faccia della medaglia: le
due visioni, a questo livello di maturazione e approfondimento, si completano a
vicenda aderendo alla perfezione l'una all'altra. S'intuisce che questo
equilibrio è stato raggiunto non per via teorica, ma attraverso assestamenti
impercettibili e graduali nel corso delle numerose esecuzioni dal vivo
dell'anno scorso. Alla fine abbiamo una realizzazione discografica compiuta del
Brahms che guarda al futuro e di quello che assomma la tradizione del genere
(più Schubert e Schumann che Beethoven) ripensandone individualmente, per
astrazione classica di contenuti romanticamente accesi, le forme e i rapporti.
Per gusto personale ritengo ancora preferibile la vecchia incisione di Abbado
con Pollini, che nasceva già da un'idea comune proiettata in avanti; ma questa
è in parte più ricca di prospettive e di suggerimenti, oltre che più scavata
nei particolari da parte di Abbado.
Il quale offre nella Quarta la più esauriente dimostrazione della sua idea di Brahms. Ma
più che di una dimostrazione si tratta di una realizzazione che passo dopo
passo unisce lo slancio di una passione vibrante al controllo lucidissimo delle
ragioni formali. Vertice in questo senso è la passacaglia dell'ultimo
movimento, dove Abbado riesce a far sentire la presenza dello schema ostinato
abolendo ogni rigore nella ripartizione delle variazioni, come se quella
presenza si sciogliesse nella logica estrosa delle fantastiche elaborazioni. Ed
è questo il tratto complessivamente nuovo della sua interpretazione: una
maggiore flessibilità poetica, una ricerca più centrata dello stile peculiare di
Brahms. Da questo punto di vista Abbado ha frenato un po' sul versante della
"modernità" di Brahms, come se l'iniziale interesse per le novità,
vere o presunte, del linguaggio (per intenderci proseguendo la linea
progressista rilevata da Schönberg) si fosse decantato in un respiro
estesamente lirico, tendenzialmente più tragico che epico. Basta ascoltare
l'inizio per capire che gli elementi strutturali da cui si origina
trasversalmente il tema principale sono l'estrema propaggine di un qualcosa che
precede e vive da lungo tempo, quasi un'eco di risonanze anche interiori, più
che i materiali di costruzione di un nuovo ordine razionale. E che l'ordine
razionale sia dunque il risultato di una riflessione spirituale, con molte
sospensioni non eccentriche, è una conquista che Abbado sembra aver fatto
sull'onda dell'esperienza. Siamo in una posizione intermedia tra le
intepretazioni crepuscolari di severa scuola tedesca e quelle aurorali,
espressivamente limpide,
brulicanti di canto e di energia ritmica delle più giovani generazioni di
interpreti, di cui per esempio Muti ha dato recentemente saggi tanto originali
quanto avvincenti. E se la virtù non sta sempre nel mezzo, con Abbado ci
attestiamo su una idea molto vicina alla verità.
Un gioiello a sé sono le Variazioni su un tema di Haydn, che
Abbado recupera a una dimensione di robusta tessitura contrappuntistica,
facendone un pezzo assai più importante e denso di quanto non si creda
solitamente. Assorta in una contemplazione di virile eloquenza, la Nenia non sembra molto lontana dalle
atmosfere del Requiem tedesco, anche
se le parole di Schiller rimandano a un ideale classico di arcana
ineluttabilità. Abbado la rende tutt'altro che sommessamente malinconica,
sottolineandone il disegno con fraseggio nitido, senza impastare i colori in
brumose lontananze.
I Berliner suonano non solo in modo
magnifico ma anche con prodigioso trasformismo: in Brahms l'era Karajan è
lontana, quella di Abbado già pienamente sbocciata e affermata.
Musica Viva, n.6 – anno XVI